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SID - SCIENZA IN DANZA

DANZA E TENSEGRITA': Geometrie ad assetto variabile

La parola tensegrità è data dalla contrazione di “tensione” e “integrità”, fu coniata per la prima volta dall'architetto Buckminster Fuller, ma fu lo scultore Kenneth Snelson, a realizzare la “struttura base” che ispirò il concetto.

Le strutture tensegritive si definiscono tali quando vi è uno stato di auto-equilibrio stabile, e la loro resistenza non dipende dai loro elementi isolati ma dalla loro reciproca relazione. Queste strutture rispondono globalmente alle forze esterne (forze applicate all'oggetto da altri oggetti, corpi o campi di forza esistenti nell'ambiente), distribuendo il carico su tutti i loro elementi, così che la modifica in un qualsiasi punto della struttura influirà sull'intera struttura stessa.

“Una struttura tensegritiva è formata da elementi singoli in compressione, i montanti, che fluttuano all'interno di un network di cavi in tensione. Queste strutture funzionano in qualsiasi posizione indipendentemente dalla forza di gravità. Sono forti, leggere, capaci di resistere agli urti senza spezzarsi, possono cambiare forma per poi tornare allo stato originale esattamente come le strutture biologiche. L'applicazione di questi concetti infatti non è utilizzata solo dagli ingegneri per la costruzione di infrastrutture, ma è ormai essenziale per la comprensione della biologia, dell'anatomia e della fisiologia.” (M.Chiera, N.Barsotti, D. Lanaro, F.Bottacioli )

TENSEGRITA':natura

In natura tutte le forme sono sistemi finiti di energia dati dall'azione contemporanea di forze compressive e tensive. Questa osservazione dà il via a quella che viene definita la “teoria sinergetica”(Fuller) secondo la quale “il comportamento di un sistema non è dato dalla somma delle singole parti ma dalle loro interazioni” (Scarr). Possiamo quindi affrontare il discorso sulla tensegrità chiarendo come, anche in natura, una struttura possa essere stabile non per la resistenza dei singoli componenti, ma per la distribuzione e il bilanciamento dell'intero impianto.

L'apparato tensegritivo risulta quindi essere in grado di adattarsi efficacemente agli stress meccanici perché capace di reagire alle forze esterne ridistribuendo le sollecitazioni in tutta la sua struttura evitando il collasso.

Si parla dunque di una architettura/organismo perfettamente bilanciato, leggero, indipendente dalla gravità e dai cambi di forma.

IL CORPO: l'unità

Il sistema strutturale di tensione continua e compressione discontinua, di seguito indicato come tensegrità, può essere utilizzato come modello per comprendere i sistemi di supporto fisiologico del corpo.

“La tensegrità separa le componenti strutturali in elementi tensivi e compressivi svelando le forze in atto, ma considera sempre la struttura come un'unità che lavora insieme”(Swanson).

Tornando all'immagine iniziale dei montanti e dei cavi dove i primi sono le ossa e i secondi i muscoli e le fasce, possiamo rappresentare questi elementi attraverso uno schema di tensione e compressione differente che si determina nella stessa unità che li comprende, il corpo.

ARTICOLAZIONI: colonna vertebrale, articolazione scapolotoracica e articolazione  sacroiliaca

“Lo scheletro da solo non si regge! Cadrebbe per effetto della gravità e le ossa non potrebbero muoversi a causa dell'attrito generato dal loro contatto”.(M.Chiera, N.Barsotti, D. Lanaro, F.Bottacioli )

Il sistema di supporto della colonna vertebrale è una funzione di tensione continua e compressione discontinua, all'interno della quale il rachide non si definisce più struttura di supporto in cui muscoli e tendini prendono origine, ma si “trasforma” in un complesso di elementi sospesi grazie all'azione tensiva dei sui componenti in compressione

“L'impiego dei principi tensegritivi sul rachide ha mostrato come i tessuti molli che circondano le vertebre permettano alla colonna vertebrale di funzionare indipendentemente dalla forza di gravità e dai carichi a cui è sottoposta, riducendo al minimo la compressione. I dischi vertebrali con la loro struttura elicoidale si comportano quindi come dei facilitatori di movimento. Le forze compressive, in questo caso, vengono dissipate attraverso l'ampio sistema di tensionamento dato dai tessuti molli”.(Swanson) Questa relazione di tensione e compressione continua ad esistere anche se la struttura viene posta in torsione oppure in un movimento a spirale, poiché è omnidirezionale ovvero che si manifesta in tutte le direzioni. La danza spesso utilizza il movimento in spirale o la torsione, non solo per fornire una forma al corpo ma anche per “caricare” la colonna e lasciarla esprimere.

E gli studi biomeccanici che si sono accumulati negli anni? Sono stati tutti basati sul presupposto che il corpo è una struttura resistente alla compressione e caricata assialmente, ovvero incaricata di gestire al meglio la sommatoria della forza di gravità e il peso dell'atmosfera che ci schiacciano verso il suolo. La visione tensegritiva del corpo invece facilita l'idea dell'armonia tra le parti, la cooperazione dei sistemi e la capacità di risoluzione del movimento nel modo più “economico” possibile. Per economico si intende uno stato di neutro in cui le forze del corpo si bilanciano tra di loro per creare uno stato di “riposo” armonico.

Altri due esempi di articolazione che possiamo analizzare secondo il modello tensegritivo sono: l'articolazione scapolotoracica e l'articolazione sacroiliaca dove nella prima articolazione (si definisce tale anche se non esiste nessun contatto osseo tra scapola e torace) troviamo un sistema di tensione supportato dalla muscolatura che intreccia la colonna vertebrale, il torace e l'estremità superiore.

Nell'articolazione sacroiliaca studiamo un complesso di elementi che non si comporta come “chiave di volta” ovvero come l'elemento portante strutturale, ma come parte di un sistema che non dipende dal supporto assiale-compressivo, ovvero dalle forze di cui abbiamo accennato precedentemente, ma da uno stato tensivo efficiente: la tensione non funziona come un supporto a un sistema di compressione, ma piuttosto come l'unico sistema a supporto di queste articolazioni

COME STIAMO IN PIEDI: fascia e miofascia

Se abbandoniamo l'idea che i muscoli siano delle leve che permettono il movimento ed entriamo in una visione del corpo tensegretivo chiamiamo in causa la fascia e il sistema miofasciale

Brevemente:

La fascia è un tessuto connettivo che avvolge l'essere umano con una membrana sottile come un secondo corpo e comprende tutti gli organi interni, anche le vene e il cervello. Si parla anche della fascia come un grande organo sensoriale.“La fascia contiene meccanocettori e propriocettori. In altre parole, ogni volta che usiamo un muscolo, allunghiamo la fascia che è collegata alle cellule del fuso, ai corpuscoli di Ruffini e Paccini e agli organi del Golgi. Il normale allungamento della fascia comunica quindi la forza della contrazione muscolare e lo stato del muscolo rispetto il suo tono, il movimento, la velocità di variazione della lunghezza del muscolo e la posizione della parte del corpo associata al sistema nervoso centrale”. (Warren Hammer)

Il sistema miofasciale è un'architettura tensegritiva organizzata in modo che le forze si trasmettano lungo i muscoli, il tessuto connettivo e le ossa. “Sta perfettamente in piedi da sola, al contrario del semplice scheletro, ed è in grado di reagire prontamente agli impulsi meccanici che subisce.

Le continue tensioni non solo stabilizzano la struttura ma la pongono in uno stato di pre- stress ovvero in quello stato in cui i muscoli non sono mai lassi ma sempre un minimo tesi e pronti a scattare. Grazie a questa struttura si generano, si disperdono, si distribuiscono delle tensioni che ne controbilanciano altre permettendo così a tutto “l'apparato corpo” di funzionare”.(Levine Martina, Myers, Swanson)

DANZA E TENSEGRITA': micro e macro

Uno dei principi fondanti la tensegrità è, oltre alla capacità di elaborare e trasmettere energia come abbiamo detto fino ad ora, quello di stabilire nel movimento il minimo consumo di energia possibile per adattarsi alle perturbazioni interne ed esterne.

La fluidità deriva dalla compensazione di forze della struttura miofasciale e dal minimo sforzo necessario per ottenere il movimento corretto, l'economia, il “neutro” di cui abbiamo precedentemente accennato.

Rispetto alla danza è in uso dire di spingere il suolo per ricevere forza. Dove và questa forza? Le energie che si generano partendo dal piede non ci permettono di muovere l'arto inferiore ma fungono da trasmettitori di energia fino alla spina dorsale. Affinchè i movimenti abbiano un'attuazione non serve solo la forza delle gambe ma bensì che la colonna vertebrale sia libera di generare un movimento elicoidale fluido anche con l'aiuto e la coordinazione delle braccia..

Il movimento fluido è fondamentale per la miofascia perchè permette di stemperare lo stress attraverso una ripartizione della forza meccanica in tutto il corpo.

Perciò quando si elaborano gesti complessi che implicano un riadattamento della tensione interna, ad esempio quando un porteur eleva la sua danzatrice, la tensione interna non si localizza nel punto dove il carico è posto ( polsi, addome, schiena) ma si distribuisce su tutta la struttura. Esattamente come possiamo ascoltare il corpo sviluppare una tensione differente quando si passa dalla posizione parallela a quella en dehor.

Gli stimoli ai quali sottoponiamo il corpo, anche durante gli sforzi necessari al gesto tecnico, determinano la miglior postura possibile (M.Chiera, N.Barsotti, D. Lanaro, F.Bottacioli ) per far si che questo processo di distribuzione venga messo in atto.

Il danzatore è un network estendibile di trasmissioni di forza:

Il danzatore è un'architettura tensegritiva consapevole.

LABAN E LA BIOMECCANICA: una struttura condivisa

La struttura: l'icosaedro, una struttura con 20 facce triangolari la quale può essere suddivisa più e più volte in triangoli, formando così una struttura che si avvicina alla sfera.

La danza: Laban, teorico, creatore, poeta, scienziato, studioso e artista, indiscusso innovatore della danza espressiva, giunge a definire la significatività del gesto mediante la classificazione e l'elaborazione concettuale del movimento. Per sviluppare lo studio dello spazio e del movimento Laban “inserisce” il corpo umano all’interno di un icosaedro. Per Laban l’icosaedro racchiude in sé le tre dimensioni spaziali ovvero, lunghezza, larghezza e profondità All'interno di essa il danzatore esplora i movimenti nelle diverse direzioni e nei piani dello spazio sperimentando l'infinità dei gesti che si scoprono seguendo le linee della struttura.

La tensegrità: l'icosaedro, nella sua struttura tridimensionale è un modello rappresentativo per lo studio delle “architetture” tensegretive,ha come caratteristica la possibilità di deformarsi e ritornare alla posizione neutra originale, con qualsiasi forza esercitata su di esso e da ogni direzione spaziale, sia di compressione che di trazione. Questo modello sembra essere il piu’ rappresentativo delle cellule del corpo e, in maniera più evidente, dei tessuti connettivi di cui il sistema miofasciale è il maggior rappresentante.” (Fabiola Marelli)

Danza e tensegrità convergono nello stesso spazio d'azione. Che sia una cellula, un danzatore, una struttura, il movimento è fondante la forma che esprime la vita.

CONCLUSIONI: le cose che non vedi ma che ci sono

L'intelligenza del danzatore ha teorizzato una tensegrità consapevole da sempre.

Trovare il modo per alzare una gamba, per saltare, atterrare con efficacia sui piedi, prendere forza per poi rilasciarla, accogliere il compagno per ammortizzare una caduta è una sintesi di modello tensegritivo ottimale che riguarda gli sforzi in un'ottica di economia delle risorse.

Nel danzatore c'è già tutta una conoscenza preziosa che manifesta quanto esposto fino ad ora in termini di equilibrio nella stessa unità.

Il corpo del danzatore è un modulatore di stress: il danzatore che si fa “forma” nel gesto tecnico ed espressivo, nel diventare materia malleabile in scena, non solo è in grado di ritornare alla condizione iniziale (grado zero) ma è capace di restituire all'organismo un livello più alto di benessere. Muoversi nutre il sistema miofasciale, aumenta il ROM (Range Of Motion) e consente l'accesso ad una maggiore fluidità dell'azione.

Dissipare lo sforzo nella globalità del gesto: muoversi con il minor dispendio di energie, fa parte del lavoro del danzatore.

La capacità di comprensione e adattamento del gesto, nonché la sua automatizzazione, viene definita rispetto ai gradi di apprendimento “maestria”. Questo significa che il danzatore deve trovare nel tempo delle strategie e per arrivare a determinarle deve necessariamente impegnarsi a “significare” la potenza di un gesto, anche se minimale, praticandolo con il maggior dispendio di energie e ascolto. Nel percorso che porta il gesto a definire la sua profondità e maturità, si toglierà la forza, il superfluo, per arrivare a concepire quel danzato come parte di sé e, come respirare, il suo movimento sarà per il danzatore “economico”.

Detto questo al danzatore il gesto deve sempre costare qualcosa in termini emotivi ed emozionali, deve “esserci dentro”, deve portare la sua presenza.

Il danzatore, in oltre, deve fare fronte a ore e ore di prove e perfomance molto impegnative sia dal punto di vista fisco che mentale; riuscire ad organizzare i gesti nella globalità/economia (come appena definita) del corpo è un cardine fondamentale per ottenere uno stato di equilibrio ottimale delle energie.

Il lavoro del danzatore è un’immersione cosciente nei meccanismi complessi del movimento in cui egli rappresenta fisicamente le forze invisibili che sono all'interno di ogni struttura/organismo/architettura tensegritiva. Ripensiamo ad un trainig dove accettiamo la funzionalità del corpo e ne favoriamo una crescita organica anziché produttiva. La tensegrità può e deve diventare una forma coerente di pensiero nell'educazione del danzatore dove non si promuove una segmentarietà nell'apprendimento della tecnica ma una capacità di cooperazione tra le parti. Abbandoniamo la forza. Accogliamo l'unicità.

 

a cura della dr.ssa Serena Loprevite

Redazione SID - Scienza In Danza

®RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Revisore scientifico

Dott. Diego Lanaro

 

Bibliografia

M.Chiera, N.Barsotti, D.Lanaro, F.Bottacioli (2017) "La PNEI e il sistema miofasciale: la struttura che connette" Edra, Milano

Silverthorn D.U., (2017) “Fisiologia umana. Un approccio integrato”, Ambrosiana, Milano

T.W. Myers. “Meridiani miofasciali. Percorsi anatomici per i terapisti del corpo e del movimento”, Tecniche Nuove,

Milano

T.Liem, P.Tozzi, A.Chila (2018)“Il sistema fasciale in ambito osteopatico” Edra, Milano

 

NB: Alcuni dei concetti fondamentali sulla tensegrità li ho riportati esattamente come scritti nel testo “La PNEI e il sistema miofasciale: la struttura che connette”e il testo “Biotensegrity:a new way of modeling biologic forms”

 

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