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SID - SCIENZA IN DANZA

La Danza e le Anatomie dello Spazio

Il tema dello spazio nella danza è molto ampio e affascinante. Laban fu avanguardia nell'abbandonare l'unidirezionalità tipica del balletto classico, avvicinandosi alla dinamica del corpo nello spazio, ma tutti i coreografi nel tempo (Waltz, Cunningham, Forsythe, Brown) hanno sperimentato e giocato con questa idea ridefinendo la scena e la sua materia. Potremo ragionare qui, in merito a questo argomento, attraverso prospettive differenti in relazione al corpo e alla fisiologia che apportino al tema una visione più ricca e sfaccettata.

IL CORPO E LO SPAZIO SCENICO
Non si può affrontare il tema dello spazio senza prendere in considerazione, seppur brevemente, i luoghi che ospitano i corpi e la loro danza. I teatri così come i contesti urbani, i musei e i luoghi “non convenzionali”, sono la scena dove la danza è chiamata ad abitare gli spazi con la propria poetica.
“Agire” lo spazio per i danzatori significa interferire nel campo uniforme della scena cambiando la sua linearità, costituendo una nuova superficie d'azione creata dai volumi dei corpi e da quelli descritti con il movimento coreografato. Svelare un immaginario scenico attraverso il disegno del corpo che si esprime nello spazio è una esperienza percettiva sia per il danzatore che per il pubblico il quale assiste alla trasformazione del vuoto in materia attraverso un vocabolario di dimensioni “altre” che prendono forma in relazione allo spazio e all'ambiente. Nei contesti differenti rispetto al teatro, un luogo può diventare per il danzatore fucina di competenze interne, capaci di accrescerne l'esperienza artistica e performativa in quanto maggiormente reattivo rispetto alle condizioni ambientali che lo circondano e lo influenzano, rendendolo forte e sensibile allo stesso tempo.

DESCRIVERE LO SPAZIO
Prendendo in considerazione lo spazio inteso come intuizione soggettiva del danzatore elaborata mediante gli organi di senso, esso diventa elemento essenziale non solo nell'elaborazione dei tratti specifici del luogo che serviranno a comprendere la qualità della danza, ma diventa anche l'elemento che, posto in relazione all'anatomia, ne determina la sua percezione. Lo spazio è un luogo fisico, denso e viene indagato, esplorato, disegnato e ridisegnato con tutto il corpo dal danzatore affinché si sveli o si ri-veli attraverso i suoi movimenti. Lo spazio infatti è concepito dal danzatore come modalità secondo la quale egli rappresenta e organizza la realta dei sui gesti rendendolo anch'esso parte dell'esperienza performativa. Il danzatore dà corpo reale al “corpo dello spazio” progettando costantemente nuove configurazioni e geografie poetiche nell'ambiente che viene occupato captando prospettive inedite che si definiscono nell'istante in cui si realizzano.

LO SPAZIO E IL CORPO
Sapere dove ci si pone nello spazio è il carattere fondamentale dello schema corporeo acquisito ovvero la rappresentazione cognitiva della posizione e dell'estensione del corpo nello spazio e dell'organizzazione gerarchica dei singoli segmenti corporei ed essere in grado di utilizzarlo definisce un' abilità essenziale per il danzatore.

La spazialità si riferisce ad un controllo e, in questo caso specifico, controllo del proprio corpo, delle sue dinamiche distrettuali e della distribuzione differenziata del tono muscolare. Possedere tali informazioni aiuta il danzatore a “sentire” l'ambiente abitato e se stesso: infatti l'attività intramuscolare è alla base di un universo di segnali che ne costituiscono l'esperienza. Per ottenere una maggiore consapevolezza della propria spazialità, il livello di ascolto sul proprio corpo e sull'ambiente deve essere altissimo. Per definire tale ascolto la fisiologia usa il termine cinestesia. La cinestesia (da cines, “movimento”e tesi “il senso di”) assume un ruolo rilevante per il controllo del movimento. Gli analizzatori cinestetici, ovvero, i fusi muscolari, gli organi tendinei del Golgi, l'apparato vestibolare, le terminazioni di Ruffini e i corpuscoli di Pacini, elaborano input provenienti da diversi recettori i quali necessitano di essere integrati nel sistema nervoso centrale e che vengono coinvolti quando il movimento è attivo e condotto direttamente dal soggetto (Silverthorn, 2017).

Il lavoro sulla cinestesia è particolarmente sviluppato nell'attività del danzatore in quanto egli è sempre rivolto con particolare attenzione nel “qui e ora” dell'azione percependo il proprio pieno corporeo nelle sensazioni che impregnano la sua creazione. Queste stesse “sensazioni” saranno poi la base per il formarsi della presenza, che determina la capacità dell'interprete.
Un ulteriore elemento da descrivere e che completa la competenza in termine di spazialità corporea, è la percezione visiva, fondamentale nell'elaborazione dei movimenti e per anticipare gli eventi che potenzialmente possono provocare una perdita dell'equilibrio o che possono creare una condizione di disturbo. Tale percezione ci fornisce infatti informazioni relative allo spazio ed al tempo come la percezione delle distanza, delle traiettorie e delle velocità degli interpreti sulla scena Anna Borghi, ne “Il cervello in azione”, definisce così la percezione visiva: “Non è la registrazione passiva degli stimoli esterni, ma un'attività di ricerca e manipolazione dell'input realizzata tra le altre cose, dai movimenti oculari, dai movimenti della testa, e dai movimenti corporei
(Borghi e Caruana, Cit.p. 61, 2016).

LO SPAZIO NEL CORPO
Possiamo pensare al corpo non solo come volume che riempie uno spazio scenico ma anche come contenitore di altri e differenti volumi che intervengono nella funzione e nell'andamento e nella qualità del gesto tecnico?
Partiamo dal presupposto che alla base della fisiologia dei vari sistemi (respiratorio, circolatorio, nervoso, digestivo, endocrino) vi è una comunicazione fitta tra le cellule e che queste cellule (fondanti l'essere umano) comunicano tra di loro attraverso uno “spazio” che ne descrive la relazione, il collegamento, il supporto lo scambio tra elementi.
Quindi tutto ciò che è commutazione/informazione/trasmissione, si avvale di uno spazio di comunicazione tra più parti. Possiamo quindi descrivere il corpo attraverso il “dialogo” che emerge nello spazio tra i volumi che si creano assumendo una posizione?
Le pressioni che spesso governano le nostre articolazioni, sopratutto in ortostatismo, non consentono di “allontanare” i due capi ossei ma piuttosto di contenere, ammortizzare e ad esempio, per quanto riguarda la colonna vertebrale, assorbire i carichi. Maggiore è lo spazio intervertebrale, (nella norma costituisce il 25% dell'altezza totale della colonna) maggiore è la capacità di un corpo vertebrale di oscillare in avanti e all'indietro rispetto a un altro.
Le articolazioni unitamente all'azione muscolare che sostiene il movimento possono creare una condizione che possiamo definire come di “alleggerimento” della struttura in toto.
Ci sono gesti tecnici della danza che sono eseguiti con l'intento di “fare spazio” tra le articolazioni, pensiamo ad esempio al un cambrè indietro. Prima di iniziare il movimento viene richiesto un allungamento verso l'alto per poter compiere con maggiore fluidità e nel modo più corretto il gesto tecnico. Questo allungamento oltre a ridurre le curve sagittali porterà ad una ridistribuzione delle pressioni sui dischi intervertebrali favorendo un senso di alleggerimento della colonna. Oppure possiamo indicare come nel rond de jambe venga ridistribuita la pressione del tronco dovuta alla gravità “come se” la gamba che descrive il movimento possa essere priva di peso. “nel passaggio da ecartè sia in en dehorse che dedans è necessario che il tronco sia attivo in allungamento per non interrompere l'armoniosità del movimento dovuta al passaggio del grande trocantere in avanti o indietro”. La danza si compone di un immaginario astratto per creare i suoi gesti perciò la percezione che si ha del corpo definirà l'estensione, l'allungamento e la salita verso l'alto. Il “come se” il “tendere a”
diventa un supporto fisiologico all'azione. Non è quindi solo un ideale a descrizione dell'atteggiamento corretto dell'azione danzata ma un vero dialogo tra simbolizzazione, percezione e fisiologia.
Gli “spazi interni” quindi sono zone di creazione e di possibilità per i gesti della danza, così come nella fisiologia, dove possiamo condurre il corpo verso una ridistribuzione interna delle forze dei volumi e delle tensioni. Avremo così forse trovato la chiave per rende maggiormente intensa la nostra danza in quanto produrremo dei riverberi di espressività che non si collocano nell'incidenza dell'azione ma bensì nel suo irradiarsi, nella produzione di scie e ondulazioni che internamente continuano a propagarsi.

CONDIVISIONE DELLO SPAZIO
In questi termini, la performance si potrebbe studiare come un'esperienza condivisa che pone il danzatore, così come lo spettatore, partecipi dello stesso evento di cui sono fruitori e praticanti nel medesimo circolo di intenti. Particolarmente importante infatti, è stata la presa di coscienza che anche lo spettatore è provvisto di un corpo, e che con il suo corpo e nel suo corpo egli fa esperienza dello spettacolo, cioè lo percepisce, lo vive, lo comprende e gli reagisce. (Falletti e Sofia, 2011).
Dunque l'esperienza non è solo di chi va in scena, in questo caso il danzatore, ma anche di chi condivide, in un modo altro, lo spazio agito, ovvero lo spettatore. La performance, introdotta dagli anni 70 del novecento e riconosciuta tecnica di espressione artistica, prevede come idea centrale il coinvolgimento dello spettatore in termini di tempo, azione, immedesimazione e soprattutto fastidio. In questi anni il termine performance è stato nuovamente inserito nelle programmazioni sulla danza contemporanea, a mio avviso all'interno di un'accezione completamente sbagliata del suo significato, ma negli anni in cui la performance era un vero strumento di comunicazione e una spinta al cambiamento, troviamo differenti esempi di questa esperienza che prevedeva una ricezione reattiva e non contemplativa dello spettatore che conduce ad un'azione naturale del pubblico nello spazio sia come fruitore dello spazio scenico, sia come fruitore dello spazio intimo del performer e, in ultimo, come creatore egli stesso dello spazio con il suo corpo.

PROSPETTIVE “SPAZIALI”
A conclusione di queste brevi riflessioni possiamo affermare che lo spazio per il danzatore, e in particolar modo del danzatore contemporaneo, rappresenta una chiave di lettura sia rispetto alla scena sia rispetto alla propria poetica.
Impossibile definire il “contenuto”di questa ricerca perché ogni danzatore avrà una percezione dello spazio, interno al proprio corpo ed esterno ad esso, differente: vuoto/pieno, piatto/tondo, geometrico/fluido, perimetrale/denso, chiuso/aperto, piccolo/grande etc etc
Difficile per il danzatore anche conservare la stessa sensibilita/abitudine sullo spazio in quanto l' immaginario sul tema cambia costantemente anche grazie ad innumerevoli variabili come il tempo, l'espressività del soggetto, la percezione del qui e ora, del vuoto oppure del pieno e così via. Questa molteplice visione e investigazione fa parte di un processo di arricchimento e di ricerca del sé tipicamente esplorato nell'improvvisazione dove lo spazio diviene forma mutevole, si trasforma per tras-formarsi, per esplorare nuovi gesti, pesi e possibilità.
Lo spazio è quindi materia di creazione, materia di scoperta è danza!

 

a cura della dr.ssa Serena Loprevite

Redazione SID - Scienza In Danza

®RIPRODUZIONE RISERVATA

 

BIBLIOGRAFIA:

Borghi A. e Caruana F. ( 2016), Il cervello in azione, Il mulino, Bologna
Casolo F. (2014), Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano,Vita e pensiero, Milano
Donald A., Neumann (2019) Chinesiologia del sistema muscolo scheletrico. Fondamenti per la riabilitazione, Piccin,
Padova
Falletti C. e Sofia G. ( 2011), Nuovi dialoghi tra teatro e neuroscienze, Editoriaespettacolo, Roma
Falletti C. e Sofia G. (2012), Prospettive su teatro e neuroscienza, Bulzoni, Roma
Silverthorn D.U., (2017) “Fisiologia umana. Un approccio integrato”, Ambrosiana, Milano

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